La guerra non ha niente di buono, niente che si possa definire umano. Lo dimostra la cronaca di questi giorni, lo dichiarano i corpi avvolti nei sudari, le macerie che restano al passaggio della sua furia nella striscia di Gaza e in altri scenari dove la storia fa meno rumore. Lo testimonia da millenni la sua incapacità di rispettare ciò che di buono l’uomo edifica. Ignoranza per natura, la guerra distruzione la bellezza con cui l’uomo attraverso l’arte cattura l’anima della propria presenza sfidando il tempo e la sua relatività. Per questo polverizza opere, cattedrali, campanili, secoli di mecenatismo e di creazioni solo per conquistare postazioni, annientare ogni presenza fisica e simbolica lasciando solo il vuoto che la rappresenta.
Oltretutto la bestia non si sottrae dalla sua viscerale fame: divora ciò che non le appartiene, trasformando in trofeo privato ciò che di natura è parte integrante di un racconto nazionale.
Per questo, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Francia, l’Italia e il Belgio diventarono terre da depredare per tutti quei collezionisti tedeschi appassionati d’arte. Tra i nomi più eccellenti spiccano Hermann Göring e lo stesso Adolf Hitler, che ripercorrendo le orme di Napoleone, da queste nazioni attinsero a piene mani capolavori e opere di inestimabili valori per abbellire le proprie dimore. Nel nome della supremazia della propria razza ariana e in modo scientifico, attraverso la creazione del reparto Kunstschulz, molte opere lasciarono l’Italia in favore della Germania.
Mentre si addita l’azione devastante dei bombardamenti degli alleati sbarcati in Italia, il Kunstschulz incarica una delegazione delle SS di salvare le opere conservate all’abbazia di Montecassino in Vaticano. Perfetto, azione ammirevole, peccato però che tutte le casse destinate alla città papale non giunsero a destinazione, soprattutto quelle contenenti le opere più prestigiose. Questa deportazione deve essere fermata.
In una notte, dell’inverno del’43, tre poliziotti bussano alla porta di una villa fiesolana. Il padrone di casa è fuggito purché la moglie è ebrea. La cameriera lascia entrare i tre uomini che chiedono di perquisire l’abitazione in cerca di eventuali rifugiati semiti. La donna non si oppone. I tre uomini staccano tutti i quadri dalle pareti e portano via tutti i disegni presenti nei cassetti, non sono poliziotti, appartengono ad un corpo speciale della resistenza nata per tutelare il patrimonio artistico e sabotare l’azione del Kunstschulz. La villa era di Giorgio De Chirico e la sua prestigiosa colleziona veniva salvata dalla sua spoliazione destinandola alle segrete di Palazzo Pitti. Capo di questa unità segreta nata in un villino sulle rive dell’Arno Rodolfo Siviero, all’epoca dell’incursione poco più che trentenne.
Nato a Guardistallo, laureato in Storia dell’arte, topo di biblioteca, Siviero abbraccia l’ideologia fascista. Grazie ad una borsa di studio, si trasferisce in Germania dove diventa una spia sottocoperta per il governo italiano. Storico dell’arte e Spia. Connubio perfetto per contrastare l’azione di scempio messo in atto dal Kunstschulznel, soprattutto nel momento in cui l’Italia perde ogni riferimento politico e nelle fasi delicatissime alla fine della guerra quando, dai bunker, dai luoghi più reconditi della terra, riaffiorano opere d’arte che molti paesi non reclamano, mentre l’America sarebbe ben lieta di accogliere nella sicurezza dei propri musei.
Guardistallo a 40 anni dalla morte del suo illustre Concittadino, il 26-27-28-29 ottobre, ne ha commemorate la sua figura storica. Offrendo ai nostri ragazzi delle classi 3M, 3I, 2M, e 2H l’opportunità di confrontarsi con una storia dove gli eroi hanno un volto locale, tutto attraverso la dimensione di un racconto e attraverso una caccia al tesoro con cui ripercorrere, se pur in modo ludico, le gesta del brillante Siviero.
Elisa Favilli
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